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"Ceramiche a Capodanno" e "Istantanee donna": due sillogi per la giornata nazionale contro la violenza sulle donne

25 sabato Nov 2017

Posted by mrosf in Recensioni

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Tag

25 novembre, coraggio, Davide Rocco Colacrai, dolore, donne, giornata nazionale contro la violenza sulle donne, Le Mezzelane Casa Editrice, poesia, Rita Angelelli, silloge, sillogi, violenza, vittima

Se ne parla sempre poco, si ripete sempre troppo e le cose sembrano non cambiare mai, e il 25 novembre diventa una giornata che si tinge di rosso, nel simbolo ormai donato alla sensibilizzazione contro la violenza sulle donne. Una giornata che però deve durare tutto l’anno, che deve essere sveglia, allarme monito da tener presente affinché questo dolore possa cessare.

Questa giornata la celebriamo anche con la scrittura, e per questo dedico il post ad una doppia recensione che riguarda le raccolte poetiche di Rita Angelelli, “Ceramiche a Capodanno“, e Davide Rocco Colacrai, “Istantanee donna“, entrambe pubblicate da Le Mezzelane Casa Editrice.

Due raccolte diverse tra loro in parte: quella di Davide è una sinfonia di voci di donne diverse le une dalle altre m

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a tutte parti di uno stesso animo; quella di Rita voce ferita, arrabbiata, indignata di chi ha avuto la gola strozzata dall’abuso.

Nel leggere “Istantanee donna” di Davide Rocco Colacrai sembra di trovarsi ad ascoltare il racconto di diverse donne, amiche che si incontrano e condividono un percor

 

so, una vita. Si entra in comunione con qualcosa che tutte loro hanno vissuto e si scoprono

 

le sfaccettature dell’animo femminile.

Poesie scritte in prima persona, una voce di donna che non cela del tutto il fatto che siano state scritte da un uomo, ma è evidente che si tratta di un uomo che ammira e ha una profonda considerazione per la donna, per il suo carattere, le sue fragilità e soprattutto le sue forze. E che riesce a farne uscire fuori il canto più bello.

Sono liriche in cui si legge ammirazione e rispetto: elementi che in una giornata come questa necessitano di essere ribaditi come essenziali nella costruzione delle relazioni umane.

Davide ha la capacità di catturare le sfaccettature delle donne di cui parla e farti sentire coccolata, capita. Si entra in comunione con ognuna delle voci che vengono celebrate dal poeta, ci si sente interconnesse e parte di un unico grande universo di cui aver cura.

Chi invece non ha avuto la cura di cui aveva diritto è la voce cantata da Rita Angelelli nella sua silloge “Ceramiche a Capodanno“, una voce che nel raccontare le inaccettabili violenze subite cerca allo stesso tempo di capire le sue stesse reazioni (o mancante reazioni).

Un volume piccolo 35-thickbox_defaultma ricco di pugni che scuotono e spingono alla riflessione. Testi di cui abbiamo bisogno (purtroppo) per non dimenticare che i fatti di cronaca che riguardano il femminicidio raccontano di donne che hanno perso la vita, persone che ci vivono accanto e che non hanno avuto forza o coraggio per denunciare e salvarsi.

Con una serie di poesie a metrica libera, Rita ci racconta la rabbia e la passività di una vittima, la sua voce segreta che urla. Le poesie vengono intervallate da meditazioni, riflessioni brevi sull’effetto della violenza, sull’annullamento graduale della vittima. Su questa donna che è come ceramica, che viene modellata, si scheggia ma non si rompe.

Storie che raccontano della speranza sporcata ma anche del bisogno di essere aiutate e della fortuna di incontrare chi possa farlo. Rita parla di quelle anime lacerate da una violenza insana e senza ragione. Parla di donne annullate che devono provare a ricostruirsi e riemergere dall’ombra dopo essere state rotte, come cocci da rimettere insieme. Argomenti attuali scritti con la voce della vittima, con meditazione e riflessione che crea empatia tra lettore e autore e vittima.

Entrambe sillogi che meritano il nostro tempo.

Per notizie su autori e acquisto:

Rita Angelelli http://www.lemezzelane.altervista.org/rita-angelelli.html

“Ceramiche a Capodanno” http://www.lemezzelane.altervista.org/negozio/index.php?id_product=12&controller=product

Davide Rocco Colacrai http://www.lemezzelane.altervista.org/davide-rocco-colacrai.html

“Istantanee donna” http://www.lemezzelane.altervista.org/negozio/index.php?id_product=46&controller=product

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"I giardini incantati" di Stefano Labbia

24 lunedì Apr 2017

Posted by mrosf in Recensioni

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dolore, emozioni, letteratura, libri, metrica, natura, pessimismo, poesia, scrittura, silloge, Stefano Labbia, Talos Edizioni, tormenti, universo, uomo, vita

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Ritorna tra gli scaffali il giovane poeta romano Stefano Labbia con la silloge “I giardini Incantati” edita da Talos Edizioni.

In questa seconda fatica letteraria, il giovane autore va oltre gli schemi consueti della poetica. Le prime liriche dell’opera, infatti, mi danno subito l’impressione di una serie di immagini, lanciate come ingredienti di un incantesimo volto a suscitare una reazione nel lettore. Un lavoro che procede senza regola, senza metrica rigida, senza limiti, ma con la libertà del pensiero di Labbia.

Destinatari delle parole di Stefano sembrano essere tutte le persone che hanno incrociato la sua strada e che hanno segnato parte della sua vita con emozioni che gli si sono impresse nell’animo.
Le poesie, infatti, appaiono un canto di profonda intimità, condivisa con il lettore. Non sempre si tratta di canti romantici o di belle speranze. Al contrario, Labbia usa questi versi come a voler urlare un dolore non superato; il pessimismo rispetto ad una generazione di illusioni e presunzioni, che si risolvono in tanta insopportabile superficialità per il Nostro.

Le liriche sembrano canti di chi non ha speranza di cambiamento dal dolore.

“Universi” è un inno che rimette tutto in gioco. Un inno alla bellezza dell’universo e allo stupore che si dovrebbe provare nel farne esperienza, poiché la ricchezza è dovunque intorno a noi.
Si susseguono poesie concentrate sul tempo e sull’affanno dell’uomo verso il domani, che è una fatica così forte da far dimenticare che esso vive già in quello che si compie nel presente. Il giovane poeta rimprovera tutti per questo, per il loro limitarsi ad osservare la metà dell’insieme.

Questo è probabilmente il senso di una raccolta così eterogenea nei contenuti; il motivo per cui ci si ritrova al cospetto di poesie molto diverse tra loro per tema e metrica: esse dovrebbero permetter di dare una veduta d’insieme e totale della vita in tutte le sue sfaccettature. Unico, vero segreto per apprezzarla nel bene e nel male.

Anche chi soffre in realtà si trova in questa condizione perché non è capace di vivere pienamente il presente ma resta bloccato nel passato che lo ha ferito e non riesce a trovare via d’uscita, come si evince dalla poesia “Smarrimento”.

Temi ricorrenti sono il fiato corto, evidentemente per le fatiche e le sofferenze della vita; la falsità, l’ipocrisia, l’amore, il tempo, il passato, il domani, ma anche e soprattutto il presente.

Senza seguire uno schema metrico rigido, Stefano Labbia canta i tormenti dell’essere umano e si fa portavoce di inquietudini che potrebbero essere universali.
Nei brani che all’apparenza sembrano parole di rassegnazione c’è invece l’ammonimento ad aprire gli occhi, il desiderio di riscatto rispetto al mondo, all’uomo.
Sono quindi poesie che toccano diversi temi come se ci trovassimo, appunto, in un giardino ricco di fiori variegati e fragranze molteplici.
Ci lasciamo inebriare e stordire da ciò che accade, e ci perdiamo nella contemplazione di fiori nuovi e insoliti. Incantanti dalla vita che sempre ci stupisce.

Per informazioni sull’autore: https://www.facebook.com/pages/I-Giardini-Incantati/1917033081859059

Per l’acquisto:

I giardini incantati

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"Salve amici della notte, sono Porzia Romano" di Rita Angelelli

13 lunedì Feb 2017

Posted by mrosf in Recensioni

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amici, bellezza, cicatrici, condivisione, coraggio, corpo deturpato, dolore, femminilità, fondo, forza, forza d'animo, Le Mezzelane Casa Editrice, letteratura, lettere, libri, malasanità, messaggi, on the road, Porzia Romano, recensione, Rita Angelelli, romanzo, scrittura, sofferenza, viaggio, vita

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Chissà a voi altri lettori cosa vi ispirano l’immagine di copertina e il titolo di questo lavoro di Rita Angelelli, “Salve amici della notte, sono Porzia Romano“, edito da La Mezzelane Casa Editrice.
A me personalmente, preannunciava un giallo, e immaginavo che Porzia Romano fosse una detective alle prese con la soluzione di un omicidio.

Ma mi sbagliavo.

Prima ancora dell’introduzione, il libro si apre con una poesia dell’autrice, una poesia profonda, tagliente, struggente, parole che lacerano prima ancora di sapere quale sarà la storia. Una vera e propria lettera a cuore aperto che ci rivela che il racconto che stiamo per leggere è basato su fatti realmente accaduti che hanno segnato la vita di chi scrive.
È la lettera sofferta di una donna di cui si intuisce la forza e la determinazione al di là di tutte le sofferenze affrontate.

Porzia Romano è, quindi, solo una speaker radiofonica che fa da ascoltatrice per la vera protagonista di questo libro, che è, invece, una donna che viaggia nella notte verso Modena dove dovrà sottoporsi ad una ennesima serie di esami e controlli medici. La protagonista, spinta da un impulso che ha il sapore di un bisogno di raccontarsi, decide di intervenire telefonicamente durante la trasmissione di Porzia e si definisce Anonima, anche se poi si prepara a mettersi a nudo e raccontare tanto di sé.

Il dolore ha segnato non solo il suo l’animo, ma anche la sua pelle con cicatrici profonde, “tante che già sembra la superficie della Luna“. L’argomento è la femminilità, quella di una donna il cui corpo è stato deturpato dalla malattia e dalla malasanità. La sofferenza di una donna che non solo ha visto il suo corpo colpito da una atroce malattia, ma ha sperimentato anche le profonde ferite dell’animo di una persona che non riesce più a sentirsi desiderabile, amabile perché sfigurata nel corpo dall’incompetenza e dalla superficialità di chi invece dovrebbe prendersi cura della nostra salute.

Rita racconta in queste pagine la sua storia di vita personale, la sua storia di dolore, malasanità e femminilità distrutta. Il tono stanco e arrabbiato penetra dentro e contagia il lettore.
La telefonata a Porzia è intervallata da brevi testi in corsivo che sono veri e propri sfoghi di dolore e sfinimento in una lotta contro l’ingiustizia e contro il mal di vivere che segna il proseguimento della storia di vita di Anonima. Rita ci regala pensieri e parole intime nate dal suo dolore. Ci conduce per mano dal fondo della sofferenza fino alla luce della consapevolezza.

Come la protagonista stessa dice, scrivere la aiuta a sfogarsi, a parlare di sé. Viene quindi celebrata la funzione terapeutica della scrittura, e il dolore provato nell’intimo si trasforma in parole.

La voce di Anonima è la voce di chi vive una condizione vergognosa; la voce di una donna che ha sofferto tanto. La durezza del tono usato è indicativa di un percorso tortuoso di indignazione, di un’ingiustizia subita. Ci vuole coraggio a raccontarsi, così come ce ne vuole a spogliarsi, a spegnere la propria sensibilità per sopravvivere e ricostruirsi. Una storia che racconta una realtà purtroppo vera e purtroppo ingiusta che ti costringe a diventare duro, impassibile, insensibile. Cadere fino al fondo, oltre quel fondo dove le ingiustizie ti hanno spinto, restarci tutto il tempo necessario a rivestirsi di nuova pelle.

Ho avuto la fortuna di conoscere Rita personalmente, e mentre leggevo il libro la rivedevo nei miei ricordi con la sua energia, la sua instancabile passione. La rivedevo correre e pensare a tante cose da fare, al suo entusiasmo, e ho sentito di avere avuto accesso ad una parte intima di lei.
Ci vuole un’incredibile forza d’animo per affrontare tutte le ingiustizie, le sofferenze fisiche e morali subite da lei e narrate da Anonima, e pensare che si tratta di una storia veramente accaduta (come tante oggi) è agghiacciante.

Nulla è ancora risolto alla fine di queste pagine, non c’è un vero lieto fine, ma si apre uno spiraglio che nasce da dentro la voce che narra e vive tutta la vicenda in prima persona. Quella voce che oltre a condividere un pensiero e una terribile esperienza ci lascia un consiglio, un esempio.

Mi viene da pensare che la notte del titolo e anche del momento in cui avviene il viaggio con Porzia non sia una scelta casuale ma una intenzione voluta dall’autrice. La notte usata come metafora di una fase difficile e buia della propria vita, una prova senza luce da affrontare come l’ignoto nel quale non si hanno certezze. Una notte da cui non ci si può sottrarre se non attraversandola con coraggio. E il coraggio che mostra la nostra Anonima è proprio quello di spogliarsi, tirare giù la maschera e raccontarsi nell’intimo.

Rita ci permette di entrare nella sua vita e nella parte più scomoda di essa. Ci vuole coraggio a farlo così come ci vuole coraggio ad ammettere a se stessi che alcune prove a cui ci sottopone la vita dobbiamo affrontarle e superarle da soli. Solo in questo modo potremmo guardare in faccia i nostri demoni e sconfiggerli.

Credo che “Salve amici della notte, sono Porzia Romano” sia un libro che dovrebbero leggere in molti, soprattutto chi ha bisogno di essere ascoltato, chi ha bisogno di essere spronato ad urlare il proprio dolore, la propria rabbia.

Per informazioni su Rita Angelelli http://lemezzelane.altervista.org/rita-angelelli.html
Per info e acquisto libro http: Salve amici della notte, sono Porzia Romano
oppure //www.lemezzelane.altervista.org/negozio/index.php?id_product=3&controller=product

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"Il viaggio di Joelle" di Vanessa Sacco

18 venerdì Nov 2016

Posted by mrosf in Recensioni

≈ 2 commenti

Tag

circo, dolore, illusionista, mago, malinconia, passione, scrittura, viaggio

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Un carissimo amico, qualche anno fa mi regalò una copia di “Il viaggio di Joelle” (Roundrobin, 2005) di Vanessa Sacco, autrice che a quel tempo era come me una sconosciuta e con cui condividevo (e condivido) la mania di inventare storie.

E’ il racconto di un viaggio che prima di essere una partenza per un luogo, è un viaggio interiore. La nostra protagonista ha subito la dolorosa perdita della madre e la sofferenza di questo vuoto risveglia in lei tanti altri dolori rimasti sospesi nel tempo.

Nelle prime 100 pagine viaggiamo nel passato della protagonista (e voce narrante) che ci lascia briciole sparse di passato più remoto per comprenderne le radici, la storia, l’origine; e passato più prossimo per spiegarne lo stato d’animo e prepararci al viaggio reale che stata invitata a compiere.
Forse c’è ostinazione in alcuni punti nel tono triste, malinconico, annoiato e sfiduciato scelto dall’autrice. E questo rischia di appesantire la lettura. Ma ci sono molte riflessioni interessanti, molti spunti relativi a tante tematiche che creano comunione tra autrice il lettore, grazie anche alla scrittura onesta e priva di filtri.

Il libro è diviso in tre parti. La prima racconta del presente. La seconda ci riporta in un passato che pensiamo subito riguardi la nostra protagonista, e questo rischia di far sentire il lettore un po’ disorientato, perché alcuni dettagli rivelati in questa parte contrastano con quelli precedenti; allora si inizia a comprendere che a parlare non è la protagonista che abbiamo conosciuto nelle pagine precedenti. Qui la voce narrante cambia e la storia inizia a diventare più intrigante e tenera. Le voci che raccontano prima e seconda parte sembrano opposte, due punti messi uno di fronte all’altro: la prima matura malinconica segnata, la seconda ingenua incerta inconsapevole di sé e passiva verso la vita, almeno fino a che non conosce un particolare del suo passato che la muove ad agire. Due voci che condividono più di quello che pensiamo a primo impatto; due voci che si completano e spiegano il senso di quella che è la vita di entrambe.

La terza parte sembra aggiungere mistero e allontanare il momento dei chiarimenti. Essa diventa congiunzione fra le due precedenti e ci permette di iniziare a comprendere l’intreccio. I capitoli che compongono questa parte portano i nomi di luoghi e città, quasi come se ad ognuno di essi appartenesse uno dei personaggi; come se ogni personaggio si identificasse con il luogo che vive. Ognuno di essi è un viaggio.

Si distinguono, quindi, tre voci narranti diverse, tre vite che si intrecciano senza mai incontrarsi; legate senza nemmeno sfiorarsi.

Sì, confesso di essermi sentita disorientata in più punti ma non posso negare che l’intreccio elaborato è costruito bene. Non c’è una chiarificazione evidente nella conclusione, il finale risulta aperto a tante opportunità che rincuorano il lettore dopo pagine di malinconia. E la malinconia non è un difetto del libro è solo una conseguenza del difficile viaggio interiore che fanno i personaggi e che inevitabilmente deve fare anche lettore con se stesso.

 

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"La fine dei giochi" -Tinta

20 giovedì Ott 2016

Posted by mrosf in Recensioni

≈ 1 Commento

Tag

amanti, desiderio, dolore, fine, giochi, impiccato, morra, passionalit, passione, scrittura, solitario, tinta, trottola

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C’è un gioco che coinvolge due persone, le trasforma in amanti, individui che si fondono in uno, mescolando i loro fiati, i loro corpi, i loro umori. È un gioco dove ci si dà senza la pretesa di vincere, ma che a volte è crudele perché lascia sul campo vittime.

È un gioco che, quando è intenso, lascia cicatrici profonde che si riaccendono ad un solo sguardo. Se le parti in campo non sono ad un livello comune, una di esse finirà per perire. C’è chi ama e perde, c’è chi è indifferente e vince. E le ferite si percepiscono tutte nella voce narrante.

Tinta, con questa sua nuova raccolta di racconti erotici, “La fine dei giochi” (edito da Lettere Animate) esplora uno degli aspetti più crudi di una relazione passionale: quello in cui la storia finisce e arriva il momento di affrontare le conseguenze.

Nella raccolta, l’autrice ci presenta diversi racconti raggruppati in quattro categorie di giochi (il gioco della morra, la trottola, l’impiccato, il solitario) che diventano metafora per descrivere i possibili risvolti di un amore finito (troppo spesso male). In queste pagine non sono risparmiati rabbia e rammarico; non si fanno sconti nemmeno sul desiderio che si riscopre caldo e pulsante anche dopo lo scambio fugace di uno sguardo. E il tutto con tangibili emozioni che il lettore percepisce quasi fosse materia tra le mani.

Tinta ci mette di fronte alla cruda realtà della passione che è gioco crudele tra chi vuole troncare ma non sa come farlo e chi non sa accettare l’inevitabile fine di un percorso. Lei ha l’abilità di suscitare le stesse emozioni dei suoi personaggi ai lettori; di raccontare un dramma che nel gioco della passione mieterà almeno una vittima. E l’intensità con cui fa parlare i suoi protagonisti, li rende vivi, verosimili, vicini a noi. Essi ci invitano a seguirli in una stanza d’albergo; a passeggiare tra gli scaffali di un negozio; a piangere per liberarsi da quel tormento.

A volte il gioco è il tentativo di ricreare un passato lontano come fosse una cerimonia di commiato, ma esso, sempre tra gli amanti, non è mai divertimento. Tinta ci ricorda che quando ci si siede a questo tavolo, ogni incontro, ogni gara assume un sapore amaro che il lettore percepisce sulle sue stesse labbra grazie alle sue abilità narrative.
L’autrice mescola la descrizione di sensazioni passionali ed eccitanti al dolore, alla frustrazione propria di una storia d’amore che si conclude e che lascia sempre una vittima sul campo di gioco. Gli amanti che gareggiano tra queste pagine esplodono in un urlo che il lettore sente fino alle ossa. Per questo è un libro intenso, una lettura dei sensi che provoca un dolore che si mescola al piacere (come per molte relazioni passionali, belle perché impossibili). La passione chiede sempre un pegno in cambio, ma questa raccolta è un piacere per gli amanti della letteratura.
La penna di Tinta è sempre un piacere da leggere, perché capace di creare una comunione di emozioni tra noi lettori e lei.

Per seguire Tinta
https://www.facebook.com/tinta.scrittrice oppure https://tintascrittrice.wordpress.com/2010/10/
Per acquistare il libro http://www.lafeltrinelli.it/libri/tinta/fine-giochi/9788868828325

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30 mercoledì Apr 2014

Posted by mrosf in duemilaQ

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boato, clamore, dolore, fragore, grido, lacrima, liberazione, parola, silenzio, strepito, strido, strillo

L’urlo, trattenuto nel petto fino a far male; quello che cresce nel silenzio fino ad esplodere. L’urlo di rabbia che muta in liberazione. Quello inutile contro chi non vuole ascoltare; quello testardo, l’urlo che è fremito. Quello che cresce dentro fino a diventare un boato incontenibile che cambia ogni cosa intorno. L’urlo che è il dolore che diventa parola, e quello senza parole che è il più terribile dei dolori. L’urlo tanto grande da diventare lacrima; quello che implora attenzione; quello di gioia che passa dagli occhi. L’urlo mio di piacere che si unisce al tuo e si trasforma in felicità, si muta in ogni sfumatura di cui siamo capaci insieme. L’urlo più importante di tutti, di vero piacere e sincero dolore, che si lancia contro se stessi.

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